Persone

“A sette anni cercavo le pietre, andavo nelle cave e gli scalpellini mi prendevano in giro, poi iniziarono a darmi i massi migliori da scolpire”. Per Sciola “i suoni ci sono da sempre. La pietra è la memoria universale del mondo”. Le sue sculture non sono però strumenti musicali, ma litofonie, “a me interessa la forma, l’elasticità”.

Le pietre sonore sono sculture simili a grandi menhir (principalmente calcari o basalti) che, una volta lucidate con le mani o con piccole rocce,risuonano. Le proprietà sonore delle sculture sono realizzate applicando le incisioni parallele sulla roccia. Queste sculture sono capaci di generare dei suoni molto strutturati, con differenti qualità secondo la densità della pietra e l’incisione, suoni che ricordano il vetro o il metallo, strumenti di legno e perfino la voce umana. Le pietre sonore, presentate per la prima volta nel 1997 a Berchidda, sono state poi esposte nel 1998 alla Biennale europea, nel 2000 all’Expo Internazionale di Hannover e poi all’Avana. Due anni dopo, il Müvèszet-MalomSzentendre di Budapest gli dedica una grande mostra antologica. Nel 2003, a seguito della sua collaborazione con l’architetto Renzo Piano, una sua gigantesca Pietra Sonora viene scelta per la Città della musica a Roma; altre sue opere vengono esposte nella Piazza della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi e nell’Arsenale di Venezia. Nel 2004 è a Parigi per le Celebrazioni di Jacques Prevèrt: «Eloge de la nature» nei Jardin duLuxembourg e «LesFeuillesMortes», omaggio di Pinuccio Sciola à Jacques Prévert. Alla fine dell’esposizione, lo scultore ha fatto dono delle sculture per una installazione permanente nel giardino della casa di Prévert a Omonville-la-Petite. Due strati (foglie) verranno depositati sulla tomba di Jacques Prévert. Dello stesso anno è l’esposizione a Lussemburgo e nel 2005 sette statue vengono collocate nello scalo internazionale dell’Aeroporto di Fiumicino per la mostra La Poesia e la Pietra. Espone nei Vivai della Villa Reale di Monza e, al termine, l’opera Basalti sonori viene offerta in dono al Comune di Monza. Per rendere comunque meglio l’idea è meglio guardare il cortometraggio da noi postato. Buona visione.

La regia è del mimo Franco Fais (Monsieur Bubè).

Un grazie particolare al mio caro amico Franco Fais.

Elisa Monica Magario

Emily Volta

«Di notte ancora sogno quel pozzo maledetto»

Appena ho letto “Angelo Licheri”, per qualche secondo ho rivisto un’immagine nitida sepolta nella mia memoria da chissà quanto tempo, uno schermo in bianco e nero con un Badaloni giovanissimo impegnato a condurre un telegiornale che pareva non finire mai…Di quel 1981 dovrei ricordare altre cose: l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, la loggia P2 o le BR che ancora terrorizzavano l’Italia con rapimenti e attentati.

Dovrebbero tornarmi alla mente immagini di un turco barbuto portato via in manette o di un presidente occhialuto che fuma la pipa e parla di quando era partigiano, invece mi torna in mente solo l’immagine di un bambino che sorride e indossa una canottiera a strisce: Alfredino Rampi, un bimbo di 6 anni affetto da una cardiopatia.

Il bambino  é caduto in un pozzo a Vermicino. Angelo Licheri appare in quel marasma di telecamere, curiosi, infermieri e vigili del fuoco che avrebbero dovuto essere i soccorritori di Alfredino. Dopo tanti tentativi di salvataggio, fatti con trivelle e altre inutili soluzioni, Licheri sembra essere l’uomo giusto: agile, magrissimo, calmo e determinato. Il tipografo di Gavoi non aveva alcuna esperienza di speleologia, ma in compenso aveva coraggio da vendere. Alle 23,50 di venerdì 12 giugno Licheri viene calato nel cunicolo il cui diametro misurava solo 28 cm. Raggiunge Alfredino a 60 metri di profondità.

Il bimbo ormai rantola per le tante ore trascorse nel pozzo (58) e per il fango che sempre di più lo avvolge, soffocandolo. Licheri tenta l’impossibile: rimane a testa in giù per 45 minuti, più del doppio del tempo massimo previsto. Riesce a toccarlo e a parlargli, ma il corpo del bimbo è esile e scivoloso, nonché imprigionato dal fango. Non riesce ad afferrarlo per riportarlo in superficie. Dopo 7 tentativi, Licheri, ormai esausto e rassegnato, non può far altro che mandargli un bacio e tornare su. In evidente stato confusionale, con gravi ferite su tutto il corpo e in un mare di lacrime, viene portato con urgenza in sala di rianimazione.

Un ultimo tentativo viene fatto da un altro volontario, Donato Caruso, ma neanche lui riesce a salvare Alfredino. All’alba del sabato, dal microfono calato nel pozzo non arriva più nulla. Un medico conferma che il bimbo è morto. Il magistrato ordina di far riempire il pozzo con gas refrigerante per conservare il corpo, e le operazioni di recupero si concludono solo due settimane più tardi. A quel punto viene aperta un’inchiesta, che avrebbe dovuto chiarire le dinamiche esatte dell’incidente.

In quei giorni l’Italia era l’epicentro di un terremoto causato dallo scandalo della P2. L’allora presidente del Consiglio dei Ministri Forlani, rende infatti pubblici gli elenchi degli iscritti alla loggia massonica. Elenchi ricolmi di nomi appartenenti a personaggi pubblici piuttosto noti che ricoprivano cariche importanti della politica, dell’alta finanza e delle pubbliche amministrazioni. Lo scandalo minaccia di far cadere numerose teste e tanti iniziano a tremare al solo pensiero delle conseguenze che ne sarebbero scaturite. Dunque non pochi sospettano che Alfredino in quel pozzo non ci sia caduto per un tragico incidente, bensì perché qualcuno ce lo avevo gettato di proposito.  L’evento mediatico che scaturiva da quell’episodio distoglieva infatti l’attenzione pubblica dai fatti legati ai pidduisti, per dirottarla verso lo sfortunato bambino.

L’esame autoptico svolto dal medico legale, mette in luce, oltre alla presenza di numerose lesioni compatibili con l’urto contro le pareti del pozzo durante la caduta, nonché una frattura al polso sinistro causata da Licheri nel tentativo di sollevare il bambino, la presenza di un oggetto sospetto legato attorno alla vita del bimbo: una cinghia simile a quelle utilizzate per gli zaini, i cui capi erano collegati tra loro da un anello metallico, che poteva far sorgere un terribile sospetto, ovvero, che Alfredino fosse stato calato di proposito nel pozzo, legato con una corda doppia. Angelo Licheri finì in tribunale e, sottoposto ad estenuanti interrogatori per anni, continuò ad asserire che quella cinghia l’aveva applicata da lui durante i tentativi di recupero e che gli era stata data da un vigile del fuoco quando ancora si trovava in superficie. La testimonianza di Donato Caruso aggrava la sua posizione. Egli, infatti, riteneva impossibile far indossare quella sorta di imbragatura all’interno del pozzo: lo spazio era talmente ristretto da impedire anche il minimo movimento, figurarsi eseguire un’operazione così complessa come allacciare una cintura.

Licheri, sfinito, ferito e amareggiato, opta per l’esilio volontario in Africa. Le tesi dei complottisti fortunatamente dopo anni si fermano, e con esse anche il tentativo di infangare un atto coraggioso e mirabile come quello del nostro eroe, che finisce con una serie di accuse fantasiose e poco credibili. Oggi Angelo Licheri vive con una pensione minima. A causa del diabete gli è stata persino amputata una gamba. E di notte sogna ancora quel pozzo maledetto.

Antonio Murgia Piras

Elisa Monica Magario

Emily Volta

Patrizia Secchi

  • 9 aprile 2011 – 20:28

la guerra del tenente Piero: il dovere e il sacrificio all’età di 22 anni

“ Offertosi volontariamente al nemico per salvare da strage un paese innocente”,  si legge nel documento che accompagna la medaglia d’oro al valore militare. Piero Borrotzu nasce ad Orani, il 25 aprile del 1921. A Nuoro frequenta il Ginnasio e poi il liceo con ottimi esiti.

Nel 1941 si realizza la sua grande aspirazione: entrare nell’accademia Militare a Modena. Appena promosso ufficiale, è assegnato alla Divisione Cosseria, reggimento a Milano ove viene incaricato di presidiare, per ragioni di ordine pubblico, la Pirelli. L’8 settembre 1943 Badoglio proclama l’armistizio. L’Italia è fuori dalla guerra. Ma i nazisti da ex-alleati si trasformano in arroganti e violenti occupanti.

IL tenente Borrotzu, a questo punto, si proclama antinazista, e si schiera contro di loro. Combatte contro le formazioni germaniche sia a Monza che a Carenno. Nel dicembre del ’43 è a Vezzano Ligure, paese natale della madre, per dare vita al I° Battaglione “Val di Vara”, l’unico nella Liguria orientale a liberare internati politici dal campo di concentramento di Calvari e dalla casa del fascio di Bargagli.

La “Val di Vara” è stata anche la prima brigata partigiana di montagna delle forze della VI Zona ligure . L’attività militare del Borrotzu non ha una sede operativa stabile, e ha il compito preciso di colpire i nemici dove essi meno se lo aspettano. Il nostro tenente sfugge di continuo alle retate tedesche e, dovunque senta parlare di elementi antinazisti dati alla macchia, accorre per tentare accordi e organizzare i nuovi sopraggiunti.

Dà vita all’azione “Castello di Carro”, da cui consegue lo scontro a Groppo di Rio, nel comune di Sesta Godano; qui, il tenente ed i suoi uomini, si trovano accerchiati dai fascisti. Il Borrotzu messo in guardia da uno dei suoi, riesce ad evitare il massacro; sceso lungo la mulattieria che porta alla rotabile, e, sebbene la guardia tedesca gli spari contro, a sua volta li colpisce in pieno con due revolverate. L’inattesa reazione permette al grosso del gruppo di filtrare attraverso il cerchio e di salvarsi.

Ormai i nazi-fascisti sono in allarme. La sera del 4 aprile 1944, dalla Val Gotra, dal Vara e dallo Zerasco, inizia il rastrellamento sistematico da parte dei tedeschi. Piero Borrotzu ripara nella borgata di Chiusola, mentre i suoi sono dislocati tra Finocchia e Teviggio. Non passa molto tempo, tutto il villaggio è circondato; i soldati tedeschi convogliano tutta la popolazione di fronte alla chiesa. La “lezione esemplare” consiste nello sterminio di tutti gli abitanti.

Il tenente Piero può salvarsi ancora una volta scappando da una finestra e passando per i tetti delle case. Non lo fa. Dopo aver messo in salvo i suoi uomini, decide di consegnarsi, stringe un patto con un ufficiale tedesco per evitare il peggio alla popolazione. Il tenente, all’interno di un capannone, viene interrogato senza esito, torturato duramente ed infine trascinato sul piazzale della chiesa di Chiusola. Gli abitanti della borgata, sono chiusi in un drammatico silenzio, costretti ad assistere alla sua esecuzione.

Con fatica, il giovane ufficiale, di soli 22 anni, si mette in posizione con il petto eretto di fronte al plotone d’esecuzione, poi, per l’ultima volta, scatta sull’attenti e con voce ferma grida: “viva l’Italia”.

Elisa Monica Magario

Emily Volta

Patrizia Secchi

http://www.wikideep.it/sesta-godano/foto/

  • 16 febbraio 2011 – 21:34

La ricerca dell’eternità

Efisio Marini nasce a Cagliari nel 1835 da una famiglia di commercianti abbienti. Si laurea a Pisa in Medicina e Scienze Naturali, dopodiché rientra a Cagliari dove lavora come assistente al Museo di Storia Naturale della città. Un lavoro per lui poco soddisfacente, ma che gli consente di dedicarsi alla ricerca. La paleontologia è il settore da lui scelto. Nel 1861 pubblica l’opera “Idee di Paleontologia Generale”, un approccio al tema della conservazione della materia attraverso i secoli.

    Si sofferma sulla tendenza di avvicinare e paragonare le fasi della fossilizzazione a qualcos’altro che differiva dalla scienza accademica dell’epoca. Marini ritiene che i fossili siano lo stato di perfezione,“la vittoria contro la degradazione e la conquista dell’eternità”.

    La sua massima aspirazione è quella di riportare la materia fossilizzata alle sue condizioni primitive. L’assidua sperimentazione lo porterà a migliorare la tecnica della conservazione intesa come mummificazione, perfezionando così il metodo della “pietrificazione” e della “calcificazione”, già realizzata e utilizzata da altri ricercatori, soprattutto dal grande Girolamo Segato, un mito che lo scienziato cagliaritano voleva superare. Il Marini inizia ad effettuare i suoi esperimenti sui cadaveri presso la scuola di anatomia dell’università, e in seguito trasferisce il suo laboratorio nell’obitorio del cimitero monumentale di Bonaria.

    Altero, presuntuoso e solitario, nonostante i suoi sorprendenti successi, Marini non gode di buona fama tra i suoi concittadini. I suoi unici veri amici erano, Felice Uda, Antonio Timon e il fotografo Agostino Lay Rodriguez. Su suggerimento di quest’ultimo, lo scienziato combina le conoscenze di anatomia e chimica a quelle per la realizzazione delle lastre fotografiche.

    Nel 1862 il Marini è sull’Aspromonte al seguito di Garibaldi. Come è noto, durante gli scontri l’eroe dei due mondi riporta una grave ferita: una buona occasione per lo scienziato, che si appresta a raccoglierne il sangue che, sottoposto a trattamento, e quindi mineralizzato, gliene fa dono, dopo averlo conservato in un medaglione. Nella mente del Marini è sempre vivo il desiderio di accedere alla cattedra dell’università di Cagliari. La chiave d’accesso? Il suo nuovo metodo di pietrificazione. Nel 1867, forse, la svolta. Il 17 febbraio muore lo storico Pietro Martini, del quale si ha solo un ritratto giovanile.

    Al Marini viene affidato il compito di conservarne il corpo con il suo nuovo e incredibile metodo. Felice Uda racconta: “Dopo gli elogi dei necrologi e la prece venale dei sacerdoti, quel corpo, già in preda alla dissoluzione, doveva appartenergli. Egli lo prese in custodia, lo trasportò in una celletta del cimitero, e sussurrò al suo orecchio la feconda parola della scienza: “Tu non morrai intieramente!”. Il compito di Lay Rodriguez è quello di immortalare il corpo dello storico prima del trattamento; mentre Marini prepara il cadavere per una prima conservazione, Timon e Uda si occupano di documentare il tutto. Quattro mesi dopo, l’intervento di conservazione vero e proprio ha inizio.

    Altero, presuntuoso e solitario, nonostante i suoi sorprendenti successi, Marini non gode di buona fama tra i suoi concittadini. I suoi unici veri amici erano, Felice Uda, Antonio Timon e il fotografo Agostino Lay Rodriguez. Su suggerimento di quest’ultimo, lo scienziato combina le conoscenze di anatomia e chimica a quelle per la realizzazione delle lastre fotografiche.

    Nel 1862 il Marini è sull’Aspromonte al seguito di Garibaldi. Come è noto, durante gli scontri l’eroe dei due mondi riporta una grave ferita: una buona occasione per lo scienziato, che si appresta a raccoglierne il sangue che, sottoposto a trattamento, e quindi mineralizzato, gliene fa dono, dopo averlo conservato in un medaglione. Nella mente del Marini è sempre vivo il desiderio di accedere alla cattedra dell’università di Cagliari. La chiave d’accesso? Il suo nuovo metodo di pietrificazione. Nel 1867, forse, la svolta. Il 17 febbraio muore lo storico Pietro Martini, del quale si ha solo un ritratto giovanile.

    Al Marini viene affidato il compito di conservarne il corpo con il suo nuovo e incredibile metodo. Felice Uda racconta: “Dopo gli elogi dei necrologi e la prece venale dei sacerdoti, quel corpo, già in preda alla dissoluzione, doveva appartenergli. Egli lo prese in custodia, lo trasportò in una celletta del cimitero, e sussurrò al suo orecchio la feconda parola della scienza: “Tu non morrai intieramente!”. Il compito di Lay Rodriguez è quello di immortalare il corpo dello storico prima del trattamento; mentre Marini prepara il cadavere per una prima conservazione, Timon e Uda si occupano di documentare il tutto. Quattro mesi dopo, l’intervento di conservazione vero e proprio ha inizio.

    È Oliviero Maccioni a raccontare che il I° giugno 1867, di buon mattino, Marini, Lay Rodriguez, Uda e Timon, si recano nel cimitero di Bonaria per mettere in atto il loro progetto. La bara viene riaperta: “andavano a fotografare un uomo quattro mesi dopo la sua morte!”. A Lay Rodriguez sempre il compito di immortalare l’intervento con lastre fotografiche; Uda documenta lo stato del cadavere: “il corpo si presenta come una pasta morbida e duttile…”. Marini comincia subito ad operare sulla salma, controlla lo stato del lavoro svolto quattro mesi prima, e sotto gli sguardi attoniti degli amici, ricostruisce i lineamenti perduti dello storico. Terminata l’operazione, l’insigne studioso è pronto per essere nuovamente ritratto. Il risultato è sorprendente.

    Intanto a Cagliari Marini è ancora vittima di vessazioni: i motti canzonatori e gli attacchi continui rendono insostenibile la sua vita nella città. Di lui si dice e si scrive sui muri:

    “UNU TONTU CHE SA PERDA SU CHI SALIDI IS PIPPIUS, CIRCADA DE SPILIDI IS BIUS NENDI CHI IMPERDADA IS MORTUS, MA CUM TOTUS IS CONFORTUS ADI FATTU CUNCURRUMBEDDU”. (UN TONTO COME LE PIETRE QUELLO CHE METTE I BAMBINI SOTTO SALE, TENTA DI PELARE I VIVI DICENDO CHE PIETRIFICA I MORTI, MA CON TUTTI I CONFORTI HA FATTO UN CAPITOMBOLO).

    Così, un po’ per ambizione e un po’ per disgusto nei confronti del capoluogo sardo, con l’aiuto dei suoi fedeli compagni, butta in mare tutte le sue opere e lascia per sempre Cagliari alla volta di Napoli. Durante il periodo partenopeo la sua fama cresce in tutta Europa. Nel 1867 viene invitato all’Esposizione Universale di Parigi. In quell’occasione è invitato a dare una dimostrazione delle sue competenze. Lo fa pietrificando il piede di una mummia egizia e restituendogli la consistenza e l’incarnato naturale; grazie a quest’opera ottiene l’appoggio di Napoleone III. Il celebre chirurgo Nélaton ha il compito di controllare la validità del suo operato. A Napolene III Marini donerà un tavolino da salotto, il cui piano è composto da sangue, bile, cervello, fegato, linfonodi e polmoni, naturalmente pietrificati.

    Mummifica personaggi celebri, come Luigi Settembrini, il marchese Rodoldo d’Afflitto, il Cardinale Guglielmo San Felice, l’avvocato Vincenzo Villari, la piccola Courrier.

    Efisio Marini muore a Napoli l’11 settembre del 1900. Alcune delle sue più importanti opere sono conservate nel Museo Anatomico di Napoli. Il Comune di Cagliari gli dedica finalmente una via, e nel 2004 una mostra. Un piccolo omaggio a un suo figlio, che, come tanti, non fu profeta in patria.

    Elisa Monica Magario

    Emily Volta

    Patrizia Secchi

    Foto:

    wikipedia;

    museo-anatomia4908;